martedì 30 giugno 2015

Nel ritmo del sangue

 

CESARE PAVESE

RITORNO DI DEOLA

Torneremo per strada a fissare i passanti
e saremo passanti anche noi. Studieremo
come alzarci al mattino deponendo il disgusto
della notte e uscir fuori col passo di un tempo.
Piegheremo la testa al lavoro di un tempo.
Torneremo laggiù, contro il vetro, a fumare
intontiti. Ma gli occhi saranno gli stessi
e anche i gesti e anche il viso. Quel vano segreto
che c’indugia nel corpo e ci sperde lo sguardo
morirà lentamente nel ritmo del sangue
dove tutto scompare.
Usciremo un mattino,
non avremo più casa, usciremo per via;
il disgusto notturno ci avrà abbandonati;
tremeremo a star soli. Ma vorremo star soli.
Fisseremo i passanti col morto sorriso
di chi è stato battuto, ma non odia e non grida
perché sa che da tempo remoto la sorte
- tutto quanto è già stato o sarà - è dentro il sangue,
nel sussurro del sangue. Piegheremo la fronte
soli, in mezzo alla strada, in ascolto di un’eco
dentro il sangue. E quest’eco non vibrerà più.
Leveremo lo sguardo, fissando la strada.

(da Lavorare stanca, 1936)

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“Non conosci la strada del sangue. Gli dèi non ti aggiungono né tolgono nulla. Solamente, d’un tocco leggero, t’inchiodano dove sei giunto. Quel che prima era voglia, era scelta, ti si scopre destino”: così il secondo cacciatore si rivolge all’uomo-lupo in uno dei Dialoghi con Leucò: un tema caro a Cesare Pavese quello del destino già scritto, se è vero che “tutto quanto è già stato o sarà - è dentro il sangue, / nel sussurro del sangue” e vale soprattutto per i due personaggi di questa poesia, vinti, soli, sconfitti, disgustati eppure consapevoli.

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NICOLAS JOLLY, “JOUR DE MARCHÉ À SARLAT”

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LA FRASE DEL GIORNO
BACCA: E che vuol dire che un destino non tradisce?
ORFEO
: Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. nessun dio può toccarlo
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CESARE PAVESE, Dialoghi con Leucò




Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950), scrittore, poeta, traduttore, saggista e critico letterario italiano. Nato poeta con Lavorare stanca, si è poi dedicato alla narrativa scrivendo romanzi famosissimi: Paesi tuoiLa luna e i falòLa casa in collina. I suoi temi principali sono il mito e la terra.


lunedì 29 giugno 2015

Una spiaggia di corteccia

 

GONZALO MILLÁN

NOMI E SEGNI EFFIMERI

A quello stesso albero ero tornato
un’altra estate a cercare quel cuore, inciso male
su una spiaggia di corteccia liscia
con la lama irregolare di un coltello.
La crescita dell’inverno e della linfa
aveva distorto le nostre lettere,
le frecce e i graffiti infantili,
fino a perderli nel labirinto per sempre
inghiottiti dal mulinello dei rami.

(da Relación personal, 1968)

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Il poeta cileno Gonzalo Millán era attratto dall’effimero come manifestazione dell’arte e della poesia: un’impronta sulla sabbia, una conchiglia, un gusto vuoto di chiocciola. Qui protagonista è il tempo, che rende transitori i segni d’amore incisi da due ragazzi sulla corteccia di un albero: la pianta si è ingrandita e il suo vigore ha inglobato in sé quei graffiti, li ha dispersi nella sua nuova grandezza creando una metafora della precarietà del momento nel vasto oceano del tempo.

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Carved

FOTOGRAFIA © 123RF

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LA FRASE DEL GIORNO
Il tempo è troppo vasto, non si lascia riempire. Tutto ciò che uno vi getta s’ammollisce e si stira.
JEAN-PAUL SARTRE, La nausea




Gonzalo Millán Arrate (Santiago, 1° gennaio 1947 – 14 ottobre 2006), poeta cileno. Considerato una delle figure più importanti della cosiddetta generazione degli anni Sessanta, di cui fu il più giovane rappresentante, ha fondato e diretto la rivista di poesia El Espíritu del Valle. Fu anche traduttore dall'inglese, dal francese e dall'olandese.


domenica 28 giugno 2015

Dentro le cose canto nuda

 

SOPHIA DE MELLO BREYNER ANDRESEN

QUI

Qui, deposta infine la mia immagine,
Tutto quello che è gioco e passaggio,
Dentro le cose canto nuda.

Qui sono libera - eco della luna
E dei giardini, i gesti ricevuti
E il tumulto dei gesti presagiti,
Qui sono io in tutto quanto ho amato.

Non per quello che ho attraversato,
Non per la mia fama che ho appena perduto,
Non per gli atti incerti che ho vissuto,

Ma  per quello che ho riecheggiato
E nel cui amore d’amore mi sono fatta eterna.

(da O dia do mar, 1947)

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“Preservare da decadenza morte e rovina  / L’istante reale di apparizione e di sorpresa /  Guardare in un mondo chiaro / Il gesto chiaro della mano toccando la tavola”: scrive la poetessa portoghese Sophia De Mello Breyner Andresen. “Qui” è naturalmente il luogo della poesia, la casa dove l’anima può girare nuda e scoprire nella libertà la sua essenza e l’essenza stessa del mondo.

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Olbinski

DIPINTO DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia mi appare già fatta, emerge, è offerta (o come se fosse offerta). Come un dettato che ascolto e annoto.
SOPHIA DE MELLO BREYNER ANDRESEN




Sophia de Mello Breyner Andresen (Porto, 6 novembre 1919 – Lisbona, 2 luglio 2004), poetessa portoghese, seconda donna a vincere il Premio Camões nel 1999. La sua opera consta di 15 libri di poesia, pubblicati tra il 1947 e il 1999, che riconoscono alla parola un valore intrinseco e per questo sono rigorosi, armonici ed equilibrati. Scrisse anche racconti, opere teatrali e libri per ragazzi


sabato 27 giugno 2015

Amore totale

 

VINÍCIUS DE MORAES

SONETTO DELL’AMORE TOTALE

Rio de Janeiro, 1951

Ti amo tanto, amore mio... non canti
il cuore umano con maggiore verità...
Ti amo come amico e come amante
in una sempre diversa realtà.

Ti amo per affinità, di un quieto amore prestante
e ti amo al di là, presente nella nostalgia.
Ti amo, infine, con grande libertà
per l’eternità e a ogni istante.

Ti amo come un animale, semplicemente
di un amore senza mistero e senza virtù
con un desiderio massiccio e permanente.

E amandoti così, molto e sempre
un giorno nel tuo corpo all’improvviso
morirò per aver amato più di quanto ho potuto.

(Soneto do amor total, da Livro de sonetos, 1957 – Traduzione di Amina Di Munno)

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Amore totale: ovvero pieno, completo, capace di manifestarsi e di realizzarsi soltanto nella sua interezza quello cantato dal poeta brasiliano Vinícius de Moraes. Un amore che non può avere né spazio né tempo, che astrae dalla presenza e dall’assenza, che è contemporaneamente razionale e irrazionale, puro e selvaggio, spirituale e carnale. Un amore che nella sua pienezza tende all’infinito pur non potendo raggiungerlo mai.

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Jover

LOUI JOVER, “RAINY DAY RENDEZ-VOUS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Di te amo più di quanto riescano a dire  / la mia parola  / e la mia tristezza.
VINÍCIUS DE MORAES, O mergulhador




Marcus Vinícius da Cruz de Mello Moraes (Rio de Janeiro, 19 ottobre 1913 – 9 luglio 1980), poeta, cantante, compositore, drammaturgo e diplomatico brasiliano. Di famiglia facoltosa, fu addetto d’ambasciata a Los Angeles e Parigi. Nel 1958 diede il via alla bossanova con i testi scritti con Jobim di Canção do amor demais, album di Elizeth Cardoso. Si sposò nove volte.


venerdì 26 giugno 2015

Crepuscoli estivi

 

VINCENZO CARDARELLI

LARGO SERALE

È l’ora dei crepuscoli estivi –
quando il giorno pellegrino
si ferma e cade estenuato.
Dolcezza e meraviglia di queste ore!
Qualunque volto apparisse in questa luce
sarebbe d’oro.
I riflessi di raso degli abitati sul lago.
Dolce fermezza di queste chiome
d’alberi sotto i miei occhi!
Alberi della montagna italiana.
Di paese in paese
gli orologi si cantano l’ora
percuotendosi a lungo nella valle
come tocchi d’organo gravi.
 
Poi più tardi nella festa notturna,
la lentezza dei suoni dura ancora…

 
(da Poesie, 1936)

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Sono sere dolcissime queste intorno al solstizio che godono ancora della lunghezza del giorno, che sembra non volere mai finire e si attarda a disegnare nuvole di rame nel cielo occidentale. È quella l’estenuazione, il languore che sottolinea Vincenzo Cardarelli: si rimane lì stupiti a osservare il crepuscolo dopo le nove di sera, a sentirne quel gusto magico di pace che emana quiete e tranquillità e la meraviglia ci riempie di dolcezza come un Largo musicale, tempo lento e solenne.

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Crepuscolo

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
È al crepuscolo che ci si isola, / alla caduta del sole.
PÄR LAGERKVIST




Vincenzo Cardarelli, nato Nazareno Caldarelli (Corneto Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959), poeta, scrittore e giornalista italiano. Sorta dall’Avanguardia degli Anni Dieci, la sua poetica rivela influssi dell’espressionismo linguistico e del frammentismo, ad esprimere  temi come lo sradicamento, il viaggio, l'adolescenza, la perdita di identità.


giovedì 25 giugno 2015

Spostatelo al sole

 

WILFRED OWEN

FUTILITÀ

Spostatelo al sole -
lo svegliava il suo tocco lieve
a casa, il sussurro della semina da fare,
e l’ha sempre svegliato anche in Francia,
fino a questa mattina e a questa neve.
Se qualcosa al mondo può svegliarlo
è il buon vecchio sole a saperlo.

Pensate a come sveglia i semi -
e in principio la creta di una fredda stella.
E il lento acquisto degli arti, i fianchi
innervati - ancora caldi - non li smuove?
Si è fatta alta per questo, la creta?
Perché si sono affaticati, i raggi fatui
a spezzare il sonno della terra?

(Futility, su The Nation, 15/6/1918 - Traduzione di Massimiliano Morini)

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Il poeta inglese Wilfred Owen, autore della bellissima Dulce et decorum est, era un ufficiale che cadde sul campo di battaglia durante l'attraversamento del canale di Sambre-Oise il 4 novembre 1918, una settimana prima che la guerra finisse. La compassione che permea questi versi per uno dei tanti anonimi soldati caduti sui campi di Francia - un contadino che il sole non può più svegliare come faceva ai tempi della semina e anche lì, in trincea - è uno dei tratti principali dei suoi componimenti di guerra. E a quel titolo, Futilità, è affidata stavolta la considerazione sull’inutilità della guerra, sulla “vecchia menzogna: Dulce et decorum est pro patria mori”.

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Soldati

FOTOGRAFIA DI PUBBLICO DOMINIO

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LA FRASE DEL GIORNO
Il fronte sfiorisce, / ma son soldati che appassiscono, non fiori / per i giochetti lacrimosi dei poeti.
WILFRED OWEN




Wilfred Edward Salter Owen (Oswestry, 18 marzo 1893 – Ors, 4 novembre 1918), poeta inglese. Ufficiale durante la Prima Guerra mondiale, cadde al fronte negli ultimi giorni del conflitto. Lasciò una raccolta di poesie che raccontano con crudezza la guerra e i suoi orrori.


mercoledì 24 giugno 2015

Perfetto come il cerchio

 

LIA CHATZOPOULOU-KARAVIA

TI AMO

Ti amo perché sei forte.
Potresti tenere in mano
un giacinto
senza provocargli dolore.
Ti amo perché sei etico come l’animale.
Sicuro come la natura.
Fecondo come la pioggia.
Umile come i fiumi
che sfociano nel mare.
Perfetto come il cerchio.
E soprattutto
irraggiungibile
come la linea dell’orizzonte
in un lungo viaggio.

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È quasi un dio l’amato descritto dalla poetessa greca Lia Chatzopoulou-Karavia: rievoca l’uomo dell’ode sublime di Saffo e il bello e virtuoso, il kalòs kagathòs (καλὸς κἀγαθός) della tradizione ellenica antica. Ha tutti pregi: la forza, l’etica, l’umiltà; è fecondo e dà sicurezza. Forse, se si può trovargli un difetto, è davvero troppo perfetto: e infatti è irraggiungibile.

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Moma

ANTICA SCULTURA GRECA, NEW YORK, MOMA

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LA FRASE DEL GIORNO
Le perfezioni di chi amiamo non sono finzioni dell'amore. Amare è, al contrario, il privilegio di accorgersi di una perfezione invisibile agli occhi degli altri.
NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, In margine a un testo implicito




Lia Chatzopoulou-Karavia (Atene, 1932), scrittrice e poetessa greca. Insegna teatro e dirige il Laboratorio Teatrale di Nea Smyrnī. Dal 1996 organizza ogni due anni conferenze teatrali internazionali in Grecia in qualità di presidente dell'Istituto Europeo di Ricerca Teatrale. Presiede il Forum internazionale dei drammaturghi dell'UNESCO.


martedì 23 giugno 2015

Quelle bellissime giornate

 

JAROSLAV SEIFERT

QUADRO BAGNATO

Quelle bellissime giornate
quando la città somiglia a un dado
o a un ventaglio
o al canto di un uccello
o a una conchiglia sulla spiaggia del mare
(addio, addio, belle fanciulle,
ci siamo conosciuti
e non ci rivedremo mai più).

Quelle bellissime domeniche
quando la città somiglia a un pallone
o a una carta
o a un’ocarina
oppure a una campana a festa
(nella strada assolata
le ombre di passanti si baciavano
e la gente si allontanava come se non si conoscesse).

Quelle bellissime serate
quando la città somiglia a una rosa
o a una scacchiera,
o a un violino
oppure a una ragazza che piange
(giocavamo a dominio insieme alle ragazze esili dei bar
guardando le loro ginocchia
che erano emaciate
come due teschi coronati dalla seta delle giarrettiere
nel disperato regno dell’amore).

(da Il piccione viaggiatore, 1929)

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“Da lungo tempo la vita mi ha convinto / che musica e poesia / sono al mondo le cose più belle / che la vita può darci. / Oltre all’amore, ovviamente” scriveva il Premio Nobel ceco Jaroslav Seifert. E all’emozione semplice e immotivatamente felice dei momenti, al nulla delle piccole cose che invece riesce a commuoverci, alla bellezza che si presenta improvvisa e inattesa, alla luce riflessa dei ricordi che torna a illuminare le nostre vite…

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Café

FOTOGRAFIA © ADRIEN S-F

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LA FRASE DEL GIORNO
Però so bene / che un poeta deve sempre dire più / di ciò che sta nascosto nel rombo delle parole. / Ed è la poesia.

JAROSLAV SEIFERT, Concerto sull’isola




Jaroslav Seifert (Praga, 23 settembre 1901 – 10 gennaio 1986), poeta e giornalista ceco. Nel 1984 fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura, “per la sua opera poetica che, dotata di grande freschezza, di sensualità e di una ricca immaginazione, fornisce un’immagine liberatoria dello spirito indomabile e della versatilità umana”.

lunedì 22 giugno 2015

Sputo le mie parole

 

MARÍA MONTERO ZELEDÓN

ORRORTODONZIA

Sputo le mie parole
come se fossero i miei denti.

Una mano pulisce le labbra.
L’altra la poesia.

Resta
il sapore di sangue in bocca.

(da La mano suicida, 2000)

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La poesia ridotta a intervento dentistico: con molta ironia – soprattutto nel titolo, che gioca tra orrore e ortodonzia – la poetessa costaricana María Montero Zeledón – gioca su questa immagine un po’ cruenta per esprimere il dolore dello scrivere, operazione che talvolta può risultare tormentosa con il suo meccanismo di analisi interiore.

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Demarquet

GEOFFROY DEMARQUET, “UNTITLED”

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LA FRASE DEL GIORNO
L’umanità si divide tra coloro che preferiscono leggere una poesia allo stare soli, coloro che rovinano la loro solitudine con una manciata di poesie e coloro che non hanno nulla da dire o da aggiungere alla loro solitudine.
MARÍA MONTERO ZELEDÓN




María Montero Zeledón (Bordeaux, Francia, 1970), poetessa e scrittrice costaricana. Dopo l'esordio a soli 15 anni con Il gioco conquistato, si è fatta conoscere come una delle voci più fresche e originali della letteratura centroamericana contemporanea. Collabora attivamente con numerosi media nazionali e internazionali.

domenica 21 giugno 2015

Altre due poesie per l’estate

 

L’estate ha un suo fascino particolare: è la bella stagione, il tempo delle giornate lunghe e calde, il momento per rimanere fuori, per stare all’aria aperta. È la stagione del mare e della montagna. Ed è anche il tempo della memoria che si ricorda a lungo: la gioventù, l’amore estivo, un viaggio, i Mondiali, il cornetto Algida… Due poeti spagnoli per celebrare questa nuova estate che inizia oggi con il solstizio: il famosissimo Federico García Lorca e Manuel Machado, fratello del più noto Antonio.


Estate

FOTOGRAFIA © ZWIM.


FEDERICO GARCÍA LORCA

NOTTE D’ESTATE

L'acqua della fonte
suona il suo tamburo
d’argento.
Gli alberi
tèssono il vento
e i fiori lo tingono
di profumo.
Una ragnatela
immensa
fa della luna
una stella.

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MANUEL MACHADO

ESTATE – GIOVENTÙ

Febbre dell’anno, pienezza della vita,
verde dell’anima e splendore della pianura...
Cieca
follia accesa.
Estate, gioventù, tripudio di colori.
Vivo carminio del labbro assetato...
Violento
rosso dei garofani inebrianti
... E mentre qui
Amore pronunzia il suo sì
(bemolle),
la verde lacca dell’alloro
distilla - come miele -
la luce del sole.
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LA FRASE DEL GIORNO
L'aria è rosa. Un antico crepuscolo ha tinto la piazza e le sue mura. E dura sotto il cielo che dura, estate rosea di più rosea estate.
DINO CAMPANA, Canti orfici




Federico García Lorca (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936), poeta e drammaturgo spagnolo). Voce tra le più originali del Novecento spagnolo, amico di Salvador Dalí e Luis Buñuel, partecipò ai vari tentativi modernisti, specialmente impressionisti. Morì durante i primi giorni della guerra civile, fucilato dai franchisti.


sabato 20 giugno 2015

Babele 2000

 

WISŁAWA SZYMBORSKA

SULLA TORRE DI BABELE

Che ora è? – Sì, sono felice,
e mi manca solo una campanella al collo
che su di te tintinni mentre dormi.
Non hai sentito il temporale? Il vento ha scosso il muro,
la torre ha sbadigliato come un leone, il portale
cigolante sui cardini. – Come, ti sei scordato?
Avevo un semplice vestito grigio
fermato sulla spalla. – E un attimo dopo
il cielo si è rotto in cento lampi. – Entrare, io?
Ma non eri da solo. – D’un tratto ho visto
colori preesistenti alla vista. – Peccato
che tu non possa promettermi. – Hai ragione,
doveva essere un sogno. – Perché menti,
perché mi chiami con il suo nome,
la ami ancora? – Oh sì, vorrei
che restassi con me. – Non provo rancore,
avrei dovuto immaginarlo.
Pensi ancora a lui? – Non sto piangendo.
E questo è tutto? – Nessuno come te.
Almeno sei sincera. – Sta’ tranquillo,
lascerò la città. – Sta’ tranquilla,
me ne andrò via. – Hai mani così belle.
È una vecchia storia, la lama è penetrata
senza toccare l’osso. – Non c’è di che,
mio caro, non c’è di che. – Non so
che ora sia e non lo voglio sapere.

(da Sale, 1962 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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È un passato mitologico, è quello della torre di Babele, la costruzione di mattoni che saliva al cielo e che fu causa della divisione dei linguaggi - per punizione divina o per dispersione degli umani nel mondo: “Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra” (Genesi, 11.9). Ma la poetessa polacca Premio Nobel Wisława Szymborska lo trasporta ai giorni nostri: Babele è quando parliamo la stessa lingua eppure non ci capiamo, è l’incomprensione che penetra sottile e mina storie d’amore, matrimoni, amicizie quando non si ascolta l’altro o quando non si vogliono comprendere le sue esigenze, quando ci si attorciglia a difesa del proprio io e non si considera l’altro.

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Parlour

JACK VETTRIANO, “THE PARLOUR OF TEMPTATION”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'incomprensione reciproca e l'indolenza fanno forse più male nel mondo della malignità e della cattiveria. Almeno queste due ultime sono certo più rare
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JOHANN WOLFGANG GOETHE, I dolori del giovane Werther




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


venerdì 19 giugno 2015

L’azzurra provincia del mare

 

ALFONSO GATTO

SERA

L’operaio vestito d’azzurro
spuntò nella piazza di Pisa,
l’Arno era magro di polvere
le case di rosa patita più in là dell’oro,
del tempo che scende al mare.

Il passo illeso dell’uomo varcò la sera,
il muro ove l’ombra gli chiuse
la porta d’oriente.

E nella casa accese il lume
l’azzurra provincia del mare.

(da Amore della vita, 1944)

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Amore della vita si intitola la raccolta di sole trentaquattro poesie che Alfonso Gatto pubblicò nel 1944 e che confluì in seguito in La storia delle vittime. Sono i tentativi di scorgere in quel difficile inverno di guerra “i labili e disperati segni del vedere, del ricordare, del connettere, come lumi di convivenza accesi in una notte che tornava a farsi tepida e umana”. È la normalità di un operaio che rincasa dopo il turno di lavoro mentre la sera si accende di riflessi azzurri nelle strade di Pisa, è “la gioia tenace di credere all’uomo e alla figura della sua perpetua liberazione nel tempo” come notò lo stesso Gatto a giustificazione del volume.

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Pisa

FOTOGRAFIA © GOODFON

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LA FRASE DEL GIORNO
Com’è sera / non odo più campane ma distanze / di colori soavi.
ALFONSO GATTO, Amore della vita




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


giovedì 18 giugno 2015

Pro patria mori

 

WILFRED OWEN

DULCE ET DECORUM EST

Piegati in due come vecchi mendicanti,
storti di gambe, di tosse, di moccoli, di melma,
voltammo le spalle alle vampe insistenti
nel duro cammino al riposo lontano.
Sonnambuli in marcia, anche senza stivali,
calzati di sangue. Avanti, zoppi, ciechi,
ubriachi di stanchezza; sordi anche ai fischi
delle granate deluse ormai alle spalle.

Gas! Gas! Svelti, ragazzi - un frugare rapito,
elmetti malmessi messi appena in tempo;
e qualcuno che urlava incespicando,
malcerto come nel fuoco o nel fango. -
Da un vetro appannato e in una luce verde,
come in fondo al mare, l’ho visto annegare.

In tutti i sogni, alla mia vista inerme,
mi cade addosso, sgocciola, soffoca, annega.

Se in un sogno afono ti trovassi anche tu
dietro il furgone su cui lo buttammo,
se vedessi gli occhi dimenati in volto,
la faccia pendula da demonio stanco;
se a ogni sobbalzo sentissi il sangue
sgorgato dal marcio dei polmoni,
osceno come un cancro, amaro come un rancio
amico mio, con tanto zelo non ridiresti
a bambini arso di disperata gloria,
la vecchia menzogna: Dulce et decorum est
pro patria mori.

(Dulce et Decorum est, da Poesie, 1921 - Traduzione di Massimiliano Morini)

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Se Ungaretti raccontò la Prima Guerra Mondiale con i suoi versicoli ermetici ma intensi, l’ufficiale britannico Wilfred Owen, si affidò invece all’espressionismo per narrare l’orrore a cui gli toccò di assistere e di prendere parte venendone alla fine travolto - cadde sul campo di battaglia uno degli ultimi giorni del conflitto. È un componimento che possiamo leggere quasi per immagini, come se fosse una serie di spezzoni cinematografici: soldati in trincea mentre sopra passano ed esplodono le granate, soldati in marcia quando scoppia all’improvviso l’attacco con i gas, la maschera antigas indossata in fretta e l’agonia di un compagno ucciso dall’iprite vista attraverso il vetro della maschera, il suo corpo ormai privo di vita caricato su un furgone... Tutto questo, dice Owen, è un incubo che non può essere tollerato, non è degno dell’umanità e quel verso di Orazio (Odi, III, 2, 13), che dice che dolce e degno è morire per la Patria, è soltanto una menzogna.

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Dulce et decorum

Pubblico dominio

FOTOGRAFIE © UNIVERSITÀ DI OXFORD e EPA

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LA FRASE DEL GIORNO
La nostra vera nazionalità è l’umanità.
HERBERT GEORGE WELLS, Lineamenti di storia



Wilfred Edward Salter Owen (Oswestry, 18 marzo 1893 – Ors, 4 novembre 1918), poeta inglese. Ufficiale durante la Prima Guerra mondiale, cadde al fronte negli ultimi giorni del conflitto. Lasciò una raccolta di poesie che raccontano con crudezza la guerra e i suoi orrori.


mercoledì 17 giugno 2015

La tua immagine

 

KARMELO C. IRIBARREN

LA DONNA DEI MIEI SOGNI

In tutte le città dove sono stato
mi è sembrato di vederti:
un autobus che parte

e che non riesco a prendere,
o un ascensore che si chiude,
o voltando un angolo
al calar della notte,
o in fondo,
tra fumo e voci,
in un bar dell’alba…

In ogni luogo, sempre,
la tua immagine appare
e scompare.

(da Serie B, 1998)

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Una continua situazione alla Sliding Doors: autobus che se ne vanno, porte che si chiudono davanti, un’occasione che il caso non ha mai voluto che si concretizzasse: la donna dei sogni di Karmelo C. Iribarren è sfuggente come un’anguilla, come lo sono in effetti i sogni, e al poeta rimane solo quell’immagine di lei che si porta dentro da sempre, che forse esiste solo nella sua mente, nel suo sogno.

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Giarrano

DIPINTO DI VINCENT GIARRANO

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LA FRASE DEL GIORNO
Si sta fra una donna ideale, che non si può avere, e una reale, che non si può amare. That is the question
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MASSIMO FINI, Dizionario erotico




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”.


martedì 16 giugno 2015

Collezionista di parole

 

NUNO JÚDICE

ARTE POETICA

L’aria è piena di parole; e
perfino quelle che si perdono sul fondo
dei muri, quelle che cadono in autunno
come le foglie degli alberi, quelle
che affogano nel pantano delle indecisioni,
lasciano nell’aria la loro eco. Così,
il poeta segue un destino da collezionista
raccogliendole, anche quelle
il cui sussurro si confonde con il vento,
stringendole sulla pagina, dove si agitano,
tremando con il soffio della voce,
o acquisiscono la durezza del marmo, brillando
solo quando la luce del verso
le sfiora.

(in O movimento do mundo, 1996)

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Il poeta come collezionista. Anche questa immagine, coniata dal poeta portoghese Nuno Júdice (Mexhilhoeira Grande, 1949), è azzeccata: come chi insegue farfalle con il retino o chi pressi foglie in un erbario, il poeta mette insieme la sua collezione di parole – e di emozioni – sapendo che solo alcune di esse può mettere nel suo album: “Eppure, sono un poeta. / Uno che possiede il dono di comparare / e che, innanzi a realtà diverse, intravede / la distante luminosità dell’Identico”.

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Spitzweg

CARL SPITZWEG, “IL CACCIATORE DI FARFALLE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Verifica / allora se tutte le opzioni sono disponibili: e/ scopri la data e l’ora in cui il sogno/ diventa realtà,/ perché poesia/ e vita coincidano.
NUNO JÚDICE, Guia de conceitos básicos




Nuno Manuel Gonçalves Júdice Glória (Mexilhoeira Grande, 29 aprile 1949) è un poeta, romanziere e saggista portoghese. Professore universitario alla Universidade Nova di Lisbona, è esperto di letteratura medievale.


lunedì 15 giugno 2015

Un fiore o un ciottolo

 

EUGENIO MONTEJO

LA POESIA

La poesia attraversa la terra da sola,
appoggia la sua voce sul dolore del mondo
e non chiede altro
che qualche parola.

Arriva da lontano e senza orario, non avvisa mai;
ha la chiave della porta.
Quando entra, sempre si sofferma a guardarci.
Poi apre la mano e ci dona
un fiore o un ciottolo, qualcosa di segreto,
ma così intenso che il cuore batte
troppo veloce. E ci svegliamo.

(da Alfabeto del mondo, 1986)

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Il poeta venezuelano Eugenio Montejo espone la sua concezione di poesia: è un mistero che viene da lontano, che appare all’improvviso e che ci sa ammaliare con la sua meraviglia: quello stupore che proviamo di fronte ad essa è il risveglio dei nostri sensi, del nostro spirito, di quel qualcosa che è dentro di noi e che ci permette di riconoscere in quella meraviglia il segreto legame tra le cose.

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Poison

RENÉ MAGRITTE, “POISON”

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LA FRASE DEL GIORNO
A tutti gli astri conduce il sogno / ma solo sulla terra ci svegliamo.
EUGENIO MONTEJO, Terredad




Eugenio Montejo (Caracas, 1938 – Valencia, 5 giugno 2008), poeta e saggista venezuelano. Professore, universitario, fu diplomatico a Lisbona. La sua poesia si caratterizza per una forma ricca e testuale e per la padronanza delle forme. Nel 2004 ottenne il Premio Octavio Paz.



domenica 14 giugno 2015

La forma della grandine

 

JUAN ANTONIO GONZÁLEZ-IGLESIAS

MI PIACE CHE EPICURO SI OCCUPI

a Ana Gorría

Mi piace che Epicuro si occupi
della forma rotonda della grandine.

Che Francesco d’Assisi dica che l’acqua è casta
e il fuoco robusto.

Che in una breve lettera a uno dei suoi amici
Marguerite Yourcenar scriva «Grazie.
Grazie dell’onore di avermi paragonato
a un albero».

Non so perché, queste cose
risanano il mio cuore.

(da Del lado del amor, 2010)

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“Non so perché” dice alla fine il poeta spagnolo Juan Antonio González-Iglesias, ma in realtà lo sa benissimo – si atteggia, come tutti i poeti: i tre esempi che riporta – la lettera di Epicuro a Pitocle, il Cantico delle Creature, una lettera di Marguerite Yourcenar – sono sintomi di un’umanità che fiorisce, che va al di là del quotidiano per ritrovare qualche cosa che è nel mondo, investigando la connessione tra esso e noi.

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Epicuro

EPICURO © LAS INDIAS

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LA FRASE DEL GIORNO
Il segreto del canto risiede tra la vibrazione della voce di chi canta e il battito del cuore di chi ascolta.
KAHLIL GIBRAN, Il Profeta




Juan Antonio González-Iglesias (Salamanca, 22 settembre 1964), poeta spagnolo. Catalogato dalla critica come una figura rilevante della nuova poesia spagnola, ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie nel 1993 con il titolo "La hermosura del hero". Secondo Luis de Villena, "la sua poesia limpida, profonda, chiara, molto cesellata, è nutrita di tradizione e di cultura".


sabato 13 giugno 2015

Destrieri di febbre

 

JUAN JOSÉ DOMENCHINA

DESTRIERI

Destrieri
di febbre:

- Galoppo
di bronzo,

profumi
d’ombra,

violenze
di seta -:

le tue gambe
nude.

(da El tacto fervoroso, 1930)

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Il poeta spagnolo Juan José Domenchina noto anche con l’alias del critico letterario Gerardo Rivera, con il suo particolarissimo stile – è tra gli esponenti del concettismo, corrente che opera con i significati delle parole e sul linguaggio polisemico – ci conduce in questa sua poesia erotica attraverso le immagini senza mostrarci il traguardo: così, quando arriviamo alla fine, è come se risolvessimo un indovinello, se sciogliessimo l’enigma, e restiamo lì a riflettere sulle analogie precedenti trovandole appropriate.

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Vector-Art-3

G-MESH, “IN THOUGHT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Gambe. Nessuno crederà seriamente che, nelle donne, servano per camminare. Sono due puri strumenti di lussuria creati per la dannazione dell'uomo.
MASSIMO FINI, Dizionario erotico




Juan José Domenchina Moreu (Madrid , 18 maggio 1898 – Città del Messico, 27 ottobre 1959), scrittore e critico letterario spagnolo appartenente alla Generazione del '27. Come poeta ricevette una solida formazione e ebbe uno stile molto personale legato al concettismo e al barocco (fu un grande lettore di Quevedo).


venerdì 12 giugno 2015

Sempre ricordando

 

 

JOSÉ HIERRO

È LA MANO CHE RICORDA

È la mano che ricorda.
Viaggia attraverso gli anni,
sfocia nel presente
sempre ricordando.

Annota, nervosamente,
quel che ha dimenticato vivendo,
la mano della memoria,
sempre recuperandolo.

Le immagini spettrali
si fanno solide,
dicono quel che erano,
perché sono tornate.

Perché erano carne di sogno,
puro materiale nostalgico.
La mano le sottrae
al loro limbo magico.

(da Cuaderno de Nueva York, 1998)

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“Ora che torna la sera / d’argento e grigio, ora che ho / innanzi agli occhi, nella mia lingua, / il colore, il sapore del tempo, / ora, infine, quanto dolorosamente, / quanto limpido, esatto, lo vedo!”: è la mano che ricorda, è la mano che scrive versi e incasella in quartine, in sonetti, in madrigali la memoria perché non sfugga, perché più non svanisca, come dice il poeta spagnolo José Hierro.

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The Writing Master

THOMAS EAKINS, “THE WRITING MASTER”

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LA FRASE DEL GIORNO
Scrivo gli ultimi canti che strappai alla vita. Li scrivo dentro la gabbia della mia vita. Non potrei scriverli nella mia memoria, come con un dito, sul vetro appannato dal freddo del fuori, ho bisogno di vederli, non solo ricordarli. Averli presenti davanti ai miei occhi, non come naufraghi, relitti sulla sabbia. I miei salvatori.
JOSÉ HIERRO, Cuaderno de Nueva York




José Hierro del Real (Madrid, 3 aprile 1922 – 21 dicembre 2002), poeta spagnolo della generazione detta “sradicata” influenzato dalla poesia di Gerardo Diego. Incarcerato per quattro anni dopo la guerra civile, divenne araldo della “poesia testimoniale”, passando nel tempo a temi esistenziali.


giovedì 11 giugno 2015

Chi mi apra

 

DANIEL OZ

LA MIA GATTA CONOSCE

La mia gatta conosce, già dall’età di mezz’anno,
come saltare sulla maniglia ed entrare nella stanza,
ma come uscirne non ha imparato.
Si rotola vicino alla porta e piange.

Così anch’io in amore,
ma non c’è chi mi apra e mi faccia uscire.

(da Poesia, n. 304, Maggio 2015 - Traduzione di Gabriella Steindler Moscati)

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Il poeta e musicista Daniel Oz, figlio del celebre scrittore Amos Oz, costruisce questa bellissima analogia tra una giovane gatta che sa come entrare in una stanza ma non come uscirne e l’uomo innamorato, che non è in grado di abbandonare l’amore – casistica spesso presente nella vita e nella letteratura dai tempi del Carme 76 di Catullo: “È difficile abbandonare all’improvviso un lungo amore”.

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cat-blue

FOTOGRAFIA © IN2GREECE

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore che inibisce non è amore. L'amore è tale solo quando libera.
LEO BUSCAGLIA, Nati per amare




Daniel Oz, (Tel Aviv, 1978), poeta e musicista israeliano. Cresciuto nella città meridionale di Arad, ha conseguito la laurea in filosofia presso l'Università Ben Gurion del Negev, oltre a studiare musica alla Rimon School. Autore di due libri di poesie e di una di quelle che chiama "favole flash", attualmente risiede a New York.


mercoledì 10 giugno 2015

Queste sono le fiabe

 

DAISY ZAMORA

FIABE

Biancaneve rifiutò di fare la serva ai nani,
e non le permisero di entrare in casa.
Cenerentola denunciò per maltrattamenti la sua matrigna.
Senza fucile non entro nel bosco, disse Cappuccetto,
dopo che il lupo la seguì per la prima volta.
(La nonna non ha mai aperto la porta senza prima guardare).
Pelle d’Asino osò denunciare l’incesto di suo padre.
La Sirenetta non morì d’amore. Nemmeno si illuse
che un principe l’avrebbe sposata.
Quando la Bella incontrò la Bestia, lo amò com’era,
senza aspettare qualche tipo di miracolo.
Riccioli d’Oro non provò neppure ad assaggiare la minestra;
gli orsi l’avrebbero divorata all’istante.
La Principessa sul Pisello non accettò di dormire
sopra tanti materassi, e gridò che se dubitavano
del suo lignaggio, andassero tutti all’inferno.
Alice non viaggiò mai nel Paese delle Meraviglie
e la Bella Addormentata si coricò, annoiata,
perché non le permettevano mai di fare quello che voleva.
Queste sono le fiabe, figlia mia.
La vita si incaricherà di raccontartele.

(da A cada quién la vida, 1993)

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La realtà che irrompe improvvisa nel mondo delle fiabe: è quello che si immagina la poetessa nicaraguense Daisy Zamora. Quel mondo indeterminato e inverosimile dove si compiono la magia e il meraviglioso è solo un’ingenua proiezione della mente, un tessuto di usanze e credenze che cozzano contro il reale e la poetessa si diverte a frantumarlo come una casa di specchi.

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Kai Fine Art

ILLUSTRAZIONE © KAI FINE ART

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LA FRASE DEL GIORNO
La vita ha le parole che può, la fiaba le parole che deve.
ALDO BUSI, Guancia di tulipano




Daisy Zamora (Managua, 20 giugno 1950), poetessa nicaraguense. Esule in Honduras, Panama e Costa Rica, durante la Rivoluzione Sandinista fu combattente del FSLN e fu nominata vice ministro della Cultura del nuovo governo. Il suo lavoro copre la vita quotidiana, i diritti umani, la politica, la rivoluzione, le questioni femministe, l'arte, la storia e la cultura.


martedì 9 giugno 2015

Delle viole sinuose

 

ÁNGEL GONZÁLEZ

SONO BARTOK DI TUTTO

Sono bartok di tutto,
bela
bartok del violino che mi rincorre,
delle sue finte precise,
delle viole sinuose,
dell’insidia che tende l’oboe,
della pesantezza ammonitoria del fagotto,
della furia del vento,
del profondo crepitare del legno.
Risuona bela in tutto bartok: ho
paura.
La musica
ha occupato la mia casa.
Per quel che sento,
può essere pericolosa.
Mandatela fuori.

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La musica che prende tutto, che impregna ogni cosa, che si espande come capita di vedere talvolta nei cartoni animati: in questo caso è quella di Béla Bartók, compositore ungherese della prima metà del Novecento, capace di fondere la musica classica con il folklore popolare superando il romanticismo ottocentesco. È la sua musica a inseguire il poeta spagnolo Ángel González (1925-2008) e a invadere la sua casa.

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Musica

 

 

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LA FRASE DEL GIORNO
La musica è il linguaggio della trascendenza.
EMIL CIORAN, Un apolide metafisico




Ángel González Muñiz (Oviedo, 6 settembre 1925 – Madrid, 12  gennaio 2008), poeta spagnolo della Generazione del ‘50. Premio Principe delle Asturie nel 1985 e Premio Regina Sofia nel 1996. La sua opera mescola intimismo e poesia sociale con un tocco ironico. Il passare del tempo, l’amore e la civilizzazione sono i suoi temi ricorrenti, giocati su toni di un’ottimistica malinconia.


lunedì 8 giugno 2015

Bella notte silenziosa

 

GHIANNIS RITSOS

DURATA

La notte ci guarda tra il fogliame delle stelle.
Bella notte silenziosa. Verrà una notte
in cui non ci saremo. E anche allora
il granoturco canterà le sue antiche canzoni,
le mietitrici s’innamoreranno accanto ai covoni,
e tra i nostri versi dimenticati
come tra le spighe gialle
un viso giovane, illuminato dalla luna,
guarderà come noi stanotte,
quella piccola nube d’argento
che si piega e appoggia la fronte sulla spalla dell’altura.

(da Esercizi, 1950-1960 – Traduzione di Nicola Crocetti)

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Una bella notte d’estate: il poeta greco Ghiannis Ritsos vive il momento e la sua persistenza nel tempo. Quell’emozione, quella poesia intessuta dal vento che accarezza le spighe di un campo di grano e dalla luna che illumina d’argento gli orli di una nuvola, è retaggio di ognuno, è insita in ogni essere umano e continuerà a brillare anche quando il poeta non ci sarà più.

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Van Gogh

VINCENT VAN GOGH, “NOTTE STELLATA SUL RODANO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ci sono versi – a volte intere poesie – / che neanch’io so cosa vogliono dire. Quello che non so / mi trattiene ancora
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GHIANNIS RITSOS, Esercizi




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.


domenica 7 giugno 2015

Indicibile evento di luce

 

VINCENZO CARDARELLI

RITRATTO

Esiste una bocca scolpita,
un volto d’angiolo chiaro e ambiguo,
una opulenta creatura pallida
dai denti di perla,
dal passo spedito,
esiste il suo sorriso,
aereo, dubbio, lampante,
come un indicibile evento di luce.

(da Poesie, Mondadori, 1942)

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La dizione poetica di Vincenzo Cardarelli ha il pregio dell’armonia, costruita spesso sul contrapporsi di figure liriche in un calmo discorso elegiaco che tende al prosaico dal tono leopardiano. E cosa c’è di più armonioso della bellezza, dell’aura che emana questa eterea creatura fermata nel breve momento della poesia?

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Volkova

FOTOGRAFIA © ANASTASIA VOLKOVA

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LA FRASE DEL GIORNO
La bellezza è solo la promessa della felicità.
STENDHAL, Sull’amore




Vincenzo Cardarelli, nato Nazareno Caldarelli (Corneto Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959), poeta, scrittore e giornalista italiano. Sorta dall’Avanguardia degli Anni Dieci, la sua poetica rivela influssi dell’espressionismo linguistico e del frammentismo, ad esprimere  temi come lo sradicamento, il viaggio, l'adolescenza, la perdita di identità.