sabato 31 ottobre 2009

José Watanabe

Peruviano di nascita e passaporto, José Watanabe, nato a Trujillo nel 1945 e morto a Lima nel 2007, ha una caratteristica che lo differenzia dai poeti del suo paese: quel cognome è non solo indice della sua discendenza giapponese (il padre) ma anche di uno stile di vita orientale che gli consentì di controllare le manifestazioni emotive e di valutare con una visione differente la realtà. Buddhismo e taoismo sono alla base della sua osservazione pura del mistero naturale, di cui coglie l’innocente bellezza.

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TRE PIETRE BIANCHE SULLA SABBIA

Tre pietre bianche sulla sabbia.
 Un uomo venne a sedersi su una di esse, stanco.
Guardò le altre due senza volerlo, posò soltanto gli occhi
sulla loro superficie come nell’aria.
La sua mente stava galleggiando in un'ora antica.

Non scelte per essere contemplate, guardate
senza idee, le pietre 
non sarebbero state mai ricordate da quest'uomo.
Quando se ne andò,
le tre pietre rimasero immacolate sulla sabbia.

(da Poesie inedite, 2008)

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QUESTIONE DI FEDE

Com’era la luce dell’alba
quando Abramo, uomo di fede incrollabile,
salì sul monte Moriah
tenendo per mano il suo unigenito Isacco?

Doveva essere una luce di un azzurro profondo
come quella di questa mattina: in quell’azzurro
Abramo immaginava
il sangue vibrante di suo figlio sul coltello.

Vibra di più il sangue nell’azzurro.
Lo so perché la mia pelle, ora così sola,
secerne sangue sul palmo della mia mano:
il primo miracolo del mio giorno, o castigo,
per aver voluto salire la china della montagna
con una ragazza (più figlia che sposa).
Lei, al primo sole, scappò spaventata,
mi negò
il suo giovane corpo per il sacrificio
e io non ho potuto dimostrarle
la mia fede nevrotica in Dio.

(da La pietra alata, 2005)

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L’ADULTERA

La frase, la limpida precisione della sua logica,
hanno fermato la rivolta.

Essi,
abbandonando tranquillamente la pietra impugnata,
hanno obbedito senza essere in grado di opporsi
all'ordine delle parole: guardarsi
nel profondo di se stessi.

Nel cerchio silenzioso
il miracolo cominciò a realizzarsi. Dicono
che compie prodigi incredibili. Questo,
così essenziale,
forse è il meno proclamato, il fatto
che accetteremo le nostre viltà
onestamente.

Per quel miracolo
non fui lapidata. Come se fossero trascorsi secoli
le pietre violente caddero dalle mani
convertite in morbida sabbia.

(da Abito tra noi, 2002)

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LA BROCCA

La brocca
rimase per un attimo
in silenzio
inclinata
come una donna pensierosa.
Ha poi continuato fino a rompersi
sul pavimento
come una donna pensierosa.

(da Bandiera nella nebbia, 2006)

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LA FRASE DEL GIORNO
Una notte era nuvoloso, non si vedeva quasi nulla e, all’improvviso, tra la nebbia, vidi delle bandiere. Per me, questa è l’immagine della poesia, la bellezza che ognuno vede nella nebbia quotidiana.
JOSÉ WATANABE, intervista a “La República”, 18/12/2006




José Watanabe Varas (Trujillo, 17 marzo 1945 - Lima, 25 aprile 2007) poeta peruviano. Voce dei “poeti del ‘70”, al tipico colloquialismo e allo sperimentalismo della corrente mescolò lo zen, il taoismo, il buddhismo e la cultura degli haiku che gli derivavano dalle sue origini giapponesi.


venerdì 30 ottobre 2009

Carrieri e il viaggio

La poesia di Raffaele Carrieri, tarantino nato nel 1905 e scomparso nel 1984, sottende un’ansia di viaggio, un movimento continuo che si estrinseca in numerose poesie che raffigurano luoghi di questo mondo. Vive l’irrequietezza che sarà di Chatwin. La sua biografia, del resto è un susseguirsi di città e regioni: la Magna Grecia delle origini, l’Albania della fuga di casa, l’esperienza militare da quindicenne in Montenegro e a Fiume con D’Annunzio, i porti mediterranei da marinaio, il lavoro di gabelliere a Palermo, l’esperienza poetica a Parigi con la generazione dell’avanguardia artistica, i viaggi in Europa, la scelta di Milano come casa. Carrieri sembra cercare nel “movimento” la risposta alla naturale insoddisfazione dell’uomo, l’ancora di salvezza. Ogni nome geografico inserito nel collage delle sue poesie è un piccolo seme, un segno che racchiude in sé tutto un universo di esperienze e di memorie…

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IL MIO CORPO MI PORTA VIA

Il mio corpo mi porta via
E devo sempre ricominciare
Fuoco donna focolare
E la speranza per durare
Dove sono più fugace
Della stella che cade.
Il mio corpo mi porta via.
Mi taglia, mi ritaglia
Mi separa dall'arpa
Mi separa dall'amata.
Mi separa mi sparpaglia
Per deserti e cordigliere
Come sabbia nella sabbia.
Cieco vado col cieco vento,
Il mio corpo mi porta via.

(da Canzoniere amoroso, 1958)

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LETTERA DA PRAGA

a Mimi

Non andrò lontano
Con le tue belle
Scarpe d'inverno.
La sera non scendo
A vedere il cielo.
Dalla Torre le ore
Continuano a cadere,
E io sono triste.
Non vedo più i tigli,
i nostri vecchi tigli
Delle sere a Mála Strana
Se ne stanno sull'acqua.
Stanno i tigli
Sulla Moldava ad aspettarmi.

(da Souvenir caporal, 1946)


AVREI POTUTO AVERE

Avrei potuto avere a Bruges
Argento e sposa nubile,
A Gand onorata vecchiaia.
Sarei stato certamente
Influente a Marrakech:
Nei giorni di mercato
Avrei guarito cavalli
E scacciato i diavoli.
Chi disse Nordsee
Mi fece mutare
Cammino e malia.

Eccomi straniero a me stesso
In questo deserto di selci.

(da Il trovatore, 1953)

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PROMENADE DES ANGLAIS

Stamattina il vermouth
Ha il buon odore
Dei capelli giovani
E la musica americana
È più leggera
Della neve tritata
E del volo dei gabbiani.
Mare, pane salame
E la mia bella
Che si veste
Come una farfalla.

(da La giornata è finita, 1963)

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CARTOLINA A MARY

a Mary de Rachewiltz

Poco fa, cara, volavo.
Ottomila metri
Sopra la Francia
Poco più larga
Di un bacile da barba.
Ora eccomi a terra:
La solita malattia
Del cadere
Del ricadere.

(da Io che sono cicala, 1967)

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Salvatore Fiume, "Ritratto di Raffaele Carrieri"

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LA FRASE DEL GIORNO
Un viaggio è come una rappresentazione dell'esistenza, per sintesi, per concentrazione di spazio e tempo; un po' come il teatro, insomma: e vi si ricreano intensamente, con un fondo di finzione inavvertito, tutti gli elementi, le ragioni e i rapporti della nostra vita.
LEONARDO SCIASCIA, Il mare colore del vino




Raffaele Carrieri (Taranto, 23 febbraio 1905 – Pietrasanta, 14 settembre 1984), scrittore e poeta italiano. A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò imbarcandosi come marinaio su bastimenti mercantili. Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. ”La mia poesia è tutta autobiografica; ispirata a fatti realmente accaduti, a viaggi, a soggiorni in paesi stranieri” scrisse di sé.

giovedì 29 ottobre 2009

L’amore e l’amicizia

L'amore - come l'amicizia - è secondo certi filosofi un rapporto biunivoco: perché esista occorre che corrisponda da entrambe le parti, lo si potrebbe rappresentare con due frecce sovrapposte di cui una vada in un senso e l'altra in quello opposto:

A <---> B

Quando viene meno una delle due frecce, l'amore - l'amicizia - non esistono più. Io credo che sia vero solo fino a un certo punto: vi sono amori che sopravvivono alla mancanza dell'altro -  anziani che rimangono soli, ad esempio - e amori che vivono in uno solo dei due elementi o in determinati periodi. Perché l'amicizia è un'espressione di bontà, mentre l'amore è un'imponderabile alchimia.

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“Una donna può essere amica di un uomo soltanto nell'ambito di questa successione: prima è una conoscente, poi è l'amante, dopo di che... amica”.

ANTON CECHOV, Zio Vania, II

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Gli occhi dell'amore vedono più lontano di quelli dell'amicizia.

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L'amicizia unita al desiderio somiglia molto all'amore.

PIERRE CHODERLOS DE LACLOS, Le relazioni pericolose

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L'amicizia è bontà, ma l'amore non è che bellezza.

IGINIO UGO TARCHETTI, Fosca

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Betsy Cameron, “Due bambini”

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LA FRASE DEL GIORNO
«Bisogna fuggire Eros». Una parola! Andando a piedi non si sfugge a un dio alato che t'insegue senza tregua.
ARCHIA D’ANTIOCHIA, Antologia Palatina, V-59

mercoledì 28 ottobre 2009

La collezione come diario

“Il collezionismo, oggi divenuto malattia sociale di massa, manifesta una particolare ossessione del tempo, è il tentativo di salvare dal suo flusso inesorabile qualcosa” scriveva Marco Belpoliti nei suoi “Minima” sulla “Stampa” il 15 settembre del 2008. In effetti ogni collezione è un diario: come annotiamo qualcosa sulla pagina bianca di un’agenda, allo stesso modo ci comportiamo quando incrementiamo la nostra raccolta: quando inseriamo una moneta nell’album o un francobollo nella sua taschina, quando a un mercatino acquistiamo un’immaginetta o una cartolina, fissiamo un’emozione, un sentimento, trasformiamo l’oggetto in un punto della nostra vita.

È proprio quello che racconta una “collezionista di professione”, Annette Messager, a Italo Calvino in “Collezione di sabbia”, articolo sul “Corriere della sera” del 25 giugno 1974, poi incluso nell’omonima raccolta: “Cerco di possedere e d’appropriarmi della vita e degli avvenimenti di cui vengo a conoscenza. Per tutta la giornata io sfoglio, raccolgo, metto in ordine, classifico, setaccio, e riduco il tutto nella forma di tanti album da collezione. Queste collezioni diventano allora la mia stessa vita illustrata”. Per la cronaca, la signora Messager catalogava nomi e oggetti in album dalla copertina di cartone: “Gli uomini che mi piacciono”, “Le donne che ammiro”, “I miei disegni infantili”, “Le carte che involgevano le arance che ho mangiato”…

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BANCONOTE



MONETE



FRANCOBOLLI  



SABBIA



LATTINE DI BIRRA



SORPRESINE KINDER



CAPSULE SPUMANTI


Fotografie da Pexels e Pinterest


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LA FRASE DEL GIORNO
Il fascino d’una collezione sta in quel tanto che rivela e in quel tanto che nasconde della spinta segreta che ha portato a crearla.
ITALO CALVINO, Collezione di sabbia

martedì 27 ottobre 2009

Falegname futurista


GEPPO TEDESCHI

FALEGNAME UBRIACO

Ieri sera
vidi laggiù
sotto un'arcata blu
di cielo
il vecchio falegname
che ubriacatosi
col mosto d'un tramonto d'agosto,
voleva liquefare
la colla col fuoco di una lucciola.
Poi, nel ripassare,
lo rividi inchiodare sbadatamente,
pezzi di notte
e di luna cadente.

(da Corti circuiti, 1938)

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Puro Futurismo questo di Geppo Tedeschi, nato nel 1907 a Tresilico, in provincia di Reggio Calabria, e morto a Roma nel 1994, a lungo insegnante di Storia della Letteratura italiana a Parigi. Non il Futurismo marinettiano dello sperimentalismo grafico ma un Futurismo di rinnovamento, di proiezione verso l’invenzione, rasente in certi passaggi al surrealismo. Leggere questa poesia è come entrare in un dipinto colorato, addentrarsi in una scena fantastica con cieli viola e lune frantumate, comprendere una realtà che è sovvertita, pur rimanendo quella di sempre: una notte tanto bella da inebriare, da stordire d’emozione l’osservatore. E secondo i dettami del Manifesto parigino del 1909: “Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali”. E allora “ Mai più cieli d’un blu gendarme, mai più prati d’un verde bandiera”, come scrisse Corrado Govoni, ma la “malinconia amaranto” di un’altra poesia di Tedeschi, “Strapiombi d’acqua ricciuta”.

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Hans Paus, “Paesaggio"

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia non risponde, ma domanda.
PAVEL GRIGOR’EVIC ANTOKOL’SKIJ, Giornale di viaggio dello scrittore




Geppo Tedeschi (Tresilico, 11 agosto 1907 – Roma, 11 marzo 1993), poeta e scrittore italiano. Aderì negli anni '30 al movimento futurista di Marinetti, del quale fu intimo amico. Nel 1938 lanciò il Manifesto Futurista sulla Poesia Sottomarina che con i suoi dieci assiomi lo suggella poeta di rilievo, raggiungendo importanza e notorietà a livello nazionale.



lunedì 26 ottobre 2009

Rebora e la natura


CLEMENTE REBORA

L'ORA INTIMA

Respira il lago un pàlpito sopito
e dàn le stelle mille bàttiti di ciglia
divini; appare il mito
dei monti limpido, e origlia.

Per ogni seno l'ora intima scende
dalla campana: e silenzio indi vive;
ogni cosa s'intende
tra foci errando e sorgive.

Sopra gli uomini, in vere leggi pure,
accomuna il mistero della sorte
allegrezze e sciagure;
del male il bene è più forte.

(da Frammenti lirici, 1913)


Quando scrive questa poesia, nel 1913, Clemente Rebora non ha ancora attraversato l’orrore della Grande Guerra, che per lui significò un grande trauma, ben lontano dall’esaltazione dei Futuristi: eppure le inquietudini, le urgenze morali ed esistenziali iniziano già a delinearsi su quel percorso che porterà il poeta a divenire sacerdote nel 1936.

Il paesaggio non si esaurisce nella descrizione puramente naturalistica, ma attraverso il discorso analogico assurge a simbolo di libertà e di pace in contrapposizione alle angosce e alle miserie della civiltà umana. Così il lago, le stelle e i monti diventano figure mitologiche in quell’atmosfera tranquilla nella quale il suono delle campane invita a raccogliersi, a meditare sulla realtà intima della natura e sulla propria esistenza, su quel mistero superiore che governa le cose: che siano le forze naturali o che sia la divinità. Rebora trova nella natura la garanzia della salvezza, un presagio della sua fede, e ottimisticamente si convince che, alla fine, il male, sarà sconfitto.


Gustav Klimt, “Schloss Unterrach oder Attersee”

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LA FRASE DEL GIORNO
Raccogliti - e il mondo diverrà apparenza. Raccogliti - e l'apparenza diverrà essere.
HERMANN HESSE, Poesie, “Giovane novizio in un convento zen”




Clemente Luigi Antonio Rèbora (Milano, 6 gennaio 1885 – Stresa, 1º novembre 1957) poeta italiano. Dopo una giovinezza inquieta alla ricerca di una dimensione trascendente, prese parte alla Prima guerra mondiale rimanendo ferito sul Podgora. Nel 1928 una crisi religiosa lo avvicinò alla fede cattolica: nel 1936 fu ordinato sacerdote.



domenica 25 ottobre 2009

L’imprenditore della carità

Don Carlo Gnocchi oggi sale agli onori degli altari: l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, lo proclama beato. Quello che in molti già facevano senza attendere l’approvazione ecclesiastica, come uno dei suoi mutilatini che il giorno dei funerali in Piazza del Duomo il 1° marzo 1956 lo salutò così: “Prima ti dicevo: «Ciao, don Carlo». oggi ti dico «Ciao, San Carlo». In quella stessa piazza, cinquantatré anni dopo gli alpini, i donatori d’organi, le associazioni che si occupano di volontariato, di malati terminali, di disabili si raccolgono per celebrare questo “imprenditore della carità”, questo “eroe della solidarietà” che, tornando dagli orrori della guerra, decise di realizzare un’opera per “servire per tutta la vita i poveri di Dio”.


Don Carlo, già nel 1943, prima di appoggiare la Resistenza trovando un rifugio sicuro per gli ebrei e aiutando i partigiani tanto da essere arrestato e rinchiuso a San Vittore, si recò dai familiari dei caduti, dai reduci di guerra e cominciò a raccogliere gli orfani e i bambini mutilati, avviando l’Opera che porta il suo nome: una riabilitazione che pone l’uomo al centro del processo terapeutico e segna un’avanguardia nelle cure con il “Centro pilota”, iniziato nel 1955, i cui lavori non riuscì a vedere terminati. Don Gnocchi infatti muore il 28 febbraio 1956, stroncato a 54 anni da un tumore.

Questo brano, tratto da “Cristo con gli alpini”, il memoriale della drammatica esperienza di cappellano in terra di Russia, è un lampante esempio dell’umanità e della dedizione agli altri di don Carlo Gnocchi:

“Quando venne alla Casa degli Orfani, fragile e incerto, pareva un uccellino sperduto nella bufera. Lo portava un'infermiera dell'ospedale e, consegnandocelo, disse: «Ha sei anni. Il papà deve essere stato fucilato dai tedeschi; a ogni modo era militare e, dopo l'8 settembre, non se ne seppe più nulla. La mamma, poveretta, è morta al sanatorio, e anche questo piccino (senta che cuore) deve averne patite delle privazioni». Aveva infatti un cuoricino singhiozzante che lo si vedeva sussultare anche di sotto la camicina stinta. Il dottore, quando lo vide, disse subito: «Tenetelo ben guardato. Se gli sopravviene una malattia non regge». E così fu difatti.

Povero Giorgino. Aveva una gran fame di tenerezza. L'implorava tacitamente con gli occhi, i suoi piccoli occhi di acqua dolce, illuminati da un chiarore fermo e vesperale. La mendicava da tutti. E se tu fossi venuto all'Istituto, te lo saresti trovato inavvertitamente daccanto a prenderti leggermente la mano per carezzarsene la guancia morbida e pallida. Teneramente. Ma venne l'urto tanto temuto e, dopo penosa resistenza, morì che era tutto un male. Fu soltanto sul letto di morte, piccola bambola di cera, che io lo riconobbi. Perché tocca alla morte rivelare profonde e arcane somiglianze.

Aveva la terrea nudità degli uccellini caduti dal tetto per fame o per la bufera. Quante volte l'avevo già incontrato nella mia vita di guerra. Nella ferale teoria dei fanciulli in attesa degli avanzi del rancio o randagi a cercarlo fra le immondizie; nei bambini febbricitanti e morenti sui miserabili giacigli delle isbe russe o dei tuguri albanesi; nei cadaveri stecchiti dei bimbi morti di fame o di pestilenza, sulle strade della Russia, della Croazia o della Grecia. In tutti i bambini insomma travolti dalla guerra. Esercito di piccole vittime innocenti, di cui Giorgio era la retroguardia.

Tanto più lacrimevole, in quanto la guerra era finita e per molti ormai lontana. La malattia l'aveva ridotto a un fragile scheletrino. Non doveva pesare più di una foglia. Eppure riempiva di sé tutta la casa. È vero che i morti sono tutti di piombo e tengono sempre un gran posto, così che, quando escono dalla stanza per la sepoltura, vi lasciano una gran piazza immensamente vuota e silenziosa. Ma Giorgio pesava quasi come il corpo di un misterioso reato. Non era stato abbattuto dalla cieca bufera, povero uccellino tremante, ma dal piombo degli uomini in lotta ...

E se non m'inganno, anche quelli che seguivano commossi il suo funerale pareva sentissero il peso di questa oscura e comune colpevolezza. Pareva dicessero: Ecco un'altra vittima, e la più innocente, dei nostri peccati. Che ne sapeva lui, povero piccino dolce e sognante, delle nostre ambizioni di grandi, dei nostri stupidi sogni di potenza, degli interessi e delle cose politiche che ci mettono gli uni contro gli altri così accanitamente? Eppure per tutto questo egli ha sofferto ed è morto... Perché continuiamo ancora a dilaniarci, a contenderci avidamente i pochi metri di questa lurida terra? Pazienza pagassimo soltanto noi, ma invece sono questi piccini, questi innocenti che pagano per le colpe di tutti...”



“Imprenditore della carità” è stato definito questo uomo che seppe costruire dal nulla una vasta rete che ora conta 28 Centri e quaranta ambulatori territoriali sparsi in nove regioni d’Italia, con 3700 posti letto e 5400 operatori. Come scrisse lui stesso in una lettera al cugino Mario Biassoni nel 1942, “Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono ed hanno bisogno di un aiuto materiale o morale. Il cristianesimo, e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente non comanda altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé”.


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LA FRASE DEL GIORNO
L'uomo è un pellegrino malato di infinito, incamminato verso l'eternità.
DON CARLO GNOCCHI, Restaurazione della persona umana




Carlo Gnocchi
(San Colombano al Lambro, 25 ottobre 1902 – Milano, 28 febbraio 1956), presbitero, educatore, attivista e scrittore italiano beatificato da papa Benedetto XVI nel 2009. Fu cappellano militare degli alpini durante la Seconda guerra mondiale e, a seguito della tragica esperienza della guerra, si adoperò ad alleviare le piaghe di sofferenza e di miseria create da quest'ultima.


sabato 24 ottobre 2009

Ghiorgos Vafòpoulos

C’è un momento che delinea gran parte della poesia di Ghiorgos Vafòpoulos, poeta greco, nato nel 1903 a Ghevgelija, nell’odierna Repubblica di Macedonia, e morto nel 1996: la scomparsa della moglie. Da lì, dopo il verso luminoso di Le rose di Mirtalide, trae i motivi di un pessimismo e di una sofferenza che permeano le sue opere per molti anni: il suo dire assume toni arcaici e austeri, bizantineggianti, si appesantisce quasi a significare quel dolore. Ma i dolori si placano con il tempo, e infatti subentra un isolamento accettato come esilio autoimposto, un destino purificatore dove la vita diventa immobile e la visione spesso desolante.




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CANZONI SULLO STESSO RITMO

Così curvi passavamo, noi due, la mano nella mano.

Per ore camminavamo senza meta, amaro fratello, e la tristezza,
sorella amara anch'essa, ci era compagna nel cammino.

E trascinando svogliati senza scopo i nostri passi
era come se sembrassimo disperati amanti
abbandonati un mattino, così, all'improvviso, dalla loro amata.

Sembravamo come generali che in un mattino si siano svegliati
senza gloria per imboccare la strada dell'esilio.

Così curvi passavamo, noi due, illusi.

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IL PREMIO

Sono un viandante,
senza riposo, senza sonno.
Marcio giorno e notte,
notte e giorno
nella ripida strada
che circonda
questo oscuro Monte.

Non m'affanno a giungere.
So che giungerò
La strada è sicura,
se l'hai attraversata
primieramente Tu.
Riconosco le impronte dei Tuoi passi,
riconosco le impronte del Tuo Amore.

Rimani sulla cima
e mi fai cenno Tu.
Sopra il tuo capo
i piedi di un Angelo.
Sopra i piedi dell'Angelo
i piedi di Dio.

Il premio del mio viaggio sarà,
giungendo all'apice della cima,
carico dei fiori
che spuntarono al tuo passaggio,
d'appoggiare il mio capo insanguinato
sulla candida pietra dei Tuoi piedi,
sul primo scalino di Dio.

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LA ROSA

(Frammento)

Avevi inteso l'invito
della Santa Voce.
E il tuo glauco stupefatto sguardo
aveva accolto il lampeggiare
del baleno del Tuo occhio.
La mia voce?
La supplica del mio sguardo?
L'ampia circonferenza dell'Amore?
Pensiero umano.
T'eri spogliata ormai della Tua tunica...

(Traduzioni di Cristino Sangiglio)

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LA FRASE DEL GIORNO
Oltrepassiamo i nostri ponti dopo esserci arrivati, ce li bruciamo alle spalle e niente dimostra il cammino percorso tranne il ricordo dell'odore del fumo e la sensazione che una volta i nostri occhi hanno lacrimato.
TOM STOPPARD




Ghiorgos Vafòpoulos (Gevgelija, 6 settembre 1903 – Salonicco, 15 settembre 1996),  poeta, autore, insegnante e giornalista greco.  Si volse verso le nuove modalità espressive, quasi contemporaneamente al movimento del surrealismo, senza seguirne gli slogan. La sua fisionomia poetica si formò negli ultimi cinque anni del periodo tra le due guerre e produsse la parte più importante della sua opera dopo la guerra e l'occupazione.


venerdì 23 ottobre 2009

Cos’è l’arte? (II)

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PABLO PICASSO

“La pittura è più forte di me, mi fa fare tutto ciò che vuole”.

Pablo Picasso, “Femme tenant un livre”
olio su tavola / Pasadena Norton Simon Museum of Art

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PIERRE AUGUSTE RENOIR

“Il pittore che ha sensibilità per i seni
e per i sederi è un uomo salvo”.

Pierre Auguste Renoir, “Baigneuse aux cheveux longs”
olio su tela, 1895-1896 / Parigi, Musée de L'Orangerie

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MIMMO ROTELLA

“Strappare i manifesti dai muri è l'unica rivalsa,
l'unica protesta contro una società che ha perso
il gusto dei mutamenti e delle trasformazioni
strabilianti. Io incollo i manifesti, poi li strappo:
nascono forme nuove, imprevedibili”.

Mimmo Rotella, “Marilyn”
décollage, 1963 / Catanzaro, MARCA

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LA FRASE DEL GIORNO
L'arte non insegna nulla se non il significato della vita.
HENRY MILLER, Il giudizio del cuore

giovedì 22 ottobre 2009

CBS 1766 e il liuto babilonese

La storia sa regalare anacronismi che non riusciamo a spiegare: i moai dell’Isola di Pasqua, per esempio, o il meccanismo di Anticitera.

Ora gli archeologi hanno scoperto l’esistenza di un elementare computer analogico risalente a un periodo tra il 1200 e l’800 avanti Cristo: è saltato fuori da una tavoletta cuneiforme rinvenuta in Mesopotamia. Il paleomusicologo inglese Richard Dumbrill ha realizzato un modellino in rame partendo dal disegno inciso: la macchina era uno strumento per accordare il liuto a sette corde – ogni corda una nota – ed è perfettamente funzionante. La scoperta, tra l’altro, consente di spostare indietro nel tempo l’”invenzione” delle sette note, finora tradizionalmente attribuita a Pitagora, vissuto nel VI secolo prima di Cristo.


CBS 1766 © Icobase

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I paleomusicologi, si sa, non sono poeti e hanno ribattezzato CBS 1766 la tavoletta, ora custodita in un museo di Philadelphia. Il calcolatore invece è costituito da un disco di rame rotante sovrapposto ad uno fisso: sul disco mobile è inciso un disegno a forma di stella a sette punte, che indica gli intervalli tra le note; i musicisti potevano così determinare attraverso calcoli matematici i rapporti frazionari della lunghezza di ognuna delle sette corde.

Il liuto babilonese era uno strumento molto melodioso e seducente; lo stesso Dumbrill racconta di un’altra tavoletta: la dea dell’amore Inana suona il liuto per strappare al dio della saggezza Enki tutto il suo sapere. Ah, le donne…

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LA FRASE DEL GIORNO
La musica è la macchina per sopprimere il tempo.
CLAUDE LÉVI-STRAUSS, Il crudo e il cotto

mercoledì 21 ottobre 2009

Penna e il ciclista

SANDRO PENNA

LA VENETA PIAZZETTA

La veneta piazzetta,
antica e mesta, accoglie
odor di mare. E voli
di colombi. Ma resta
nella memoria - e incanta
di sé la luce - il volo
del giovane ciclista
vòlto all'amico: un soffio
melodico: «Vai solo?»

(da “Poesie”, 1939)

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Sandro Penna, tra i nostri poeti, è il più vicino agli antichi alessandrini, ai frammenti dell’Antologia Palatina. Certamente per l’eros omosessuale che fa da sfondo a tutte le sue poesie, ma altresì per il candore ingenuo, per la spontaneità che trasudano dai suoi versi. “La veneta piazzetta” rappresenta bene questa limpidezza poetica, sin dall’anonimo paesaggio che conferisce grazia all’elemento scenografico: il giovane ciclista – personaggio dei ceti popolari come tutti quelli che appaiono nei versi di Penna – è come un grido che squarcia il silenzio e la tranquillità della piazza, è il “segno” che resterà nella memoria, la voce della poesia che chiama con il suo tono malinconico.

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Edward Hopper, “Bicycle rider”

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia... Ha bruciato la giovinezza di Saffo e la canizie di Goethe... Farmaco - dicevano i greci - veleno e medicina.
UMBERTO ECO, Il pendolo di Foucault




Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977), poeta italiano. Con toni epigrammatici, le sue poesie esprimono spesso un’intenso desiderio sensoriale di vita talora malinconico e cantano l’amore omosessuale (“Poeta esclusivo d’amore”, si definì egli stesso).


martedì 20 ottobre 2009

La “macchina del tempo”

Mi appassiona l’antropologia sociale storica. Vorrei avere la macchina del tempo per vedere com’era Siracusa ai tempi di Dionisio, come si viveva nella Grecia di Socrate e Platone, nella Roma dei Cesari. Per salire sui galeoni spagnoli, sulle caravelle di Colombo.

Ma la macchina del tempo non c’è - dicono sia impossibile perché l’energia occorrente annullerebbe all’istante: mi devo accontentare dei miei libri, dei dipinti, delle ricostruzioni…

Ecco, ad esempio, cosa si potrebbe vedere aggirandosi per l’antica Roma (ricostruzioni da Capitolium.org):

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IL COLOSSEO

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IL FORO ROMANO

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LA BASILICA DI MASSENZIO

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IL TEMPIO DI VENERE

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IL FORO TRAIANO

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LA FRASE DEL GIORNO
È un errore grandissimo pensare che la storia debba consistere necessariamente in qualcosa di scritto: può consistere benissimo in qualcosa di costruito, e chiese, case, ponti, anfiteatri possono raccontare le loro vicende con la chiarezza di un libro stampato, se si hanno occhi per vedere. 
EILEEN POWER, Vita nel Medioevo

lunedì 19 ottobre 2009

In sogno

WISLAWA SZYMBORSZKA

ELOGIO DEI SOGNI

In sogno
dipingo come Vermeer.
Parlo correntemente il greco
e non solo con vivi.
Guido l'automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
Odo voci
non peggio di santi autorevoli.
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ossia con le mie forze.
Cadendo da un tetto
so planare dolcemente sul verde.
Non ho difficoltà
a respirare sott'acqua.
Mi rallegro di sapermi sempre
svegliare prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l'altro ieri un pinguino
con assoluta chiarezza.

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Qualche giorno fa, facendo considerazioni con un’amica sul Nobel alla sconosciuta Herta Müller, ci è capitato di paragonare il suo caso con quello della poetessa polacca Wislawa Szymborska, insignita più o meno allo stesso modo nel 1996. In realtà, lei era poco conosciuta in Italia, ma famosa nel mondo. Comunque, sono andato a rileggermi qualche sua poesia e ho deciso di condividere questa “Elogio dei sogni”: la consueta ironia, il paradosso di cui la Szymborska fa largo uso nei suoi versi qui si librano in volo nel territorio del sogno, spaziano senza più i vincoli che li legano alla terra. Tutto diventa possibile, come nel Sonetto 87 di Shakespeare: “Nel sonno un re, niente al risveglio”.

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Salvador Dalì, “Il fantasma di Vermeer”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il sogno è una seconda vita.
GÉRARD DE NERVAL, Aurelia




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


domenica 18 ottobre 2009

Neologismi 2010

Ottobre è tempo di funghi, castagne e… neologismi. Infatti esce lo Zingarelli e tutti corrono a verificare quali siano le nuove parole ammesse di diritto nel vocabolario.

Lo scorso anno toccò ad esempio a adsl, paparazzare, ecopass, onlus, black-bloc… Insomma la solita miscela di parole inutili del gossip, prestiti dall’inglese, mostri linguistici burocratici e orrendi termini politici. Quest’anno ci risiamo daccapo: ecco nimby, acronimo che sta per “Not In My Back Yard”, non nel mio giardino, ovvero la pretesa che la TAV, il ponte, la strada, il pozzo petrolifero, l’impianto eolico venga fatto altrove, non nel proprio paesello –  e spostale di giardino in giardino va a finire che le opere pubbliche le faremo in Svizzera, in Francia, in Austria, in Libia (oops, l’autostrada la facciamo davvero lì). Poi ci sono termini da coatti dell’happy hour: acchiappo per tentativo di seduzione, vipperia per designare un gruppo di persone che dovrebbero essere conosciute (ma se mi chiedete il nome di un tronista, al massimo rispondo che non so neppure cosa sia, un fabbricatore di sedie regali?) E ancora orribili usi della lingua italiana, direi qui violentata: traduttese per dire di  una traduzione troppo letterale e contorta, ottista a indicare lo studente che ha tutti otto e che per una strana legge può saltare un anno, e spreferito per significare il meno gradito, mah… C’è la social card voluta dal governo per i pensionati meno agiati, in compagnia di un’altra parola inglese come pump, un tipo di ginnastica. Ci sono i due schieramenti pro choice e pro life, nati in seguito all’animato dibattito sul “trattamento di fine vita” dovuto anche al caso di Eluana e la famiglia omogenitoriale, fonte di altre polemiche.  Dalla Cina viene il feng shui, disciplina ora nota anche agli architetti e agli arredatori, che ne seguono i dettami per orientare al meglio gli arredi. Dalla burocrazia arriva lo scontrino parlante: è quello che rilascia il farmacista per le detrazioni fiscali. La fisica risarcisce il professor Nicola Cabibbo, espropriato del premio Nobel nel 2008: l’angolo di Cabibbo porta il suo nome nel vocabolario. Infine segnalo il pangramma: altro non è che una frase che contenga tutte le lettere dell’alfabeto una sola volta, come l’inglese “The quick brown fox jumps over the lazy dog” e l’italiana “Quel fez sghembo copre davanti”.

Oltre ai neologismi lo Zingarelli lancia anche le “parole da salvare”, ben 2800, che sembrano ormai desuete dalle bocche e dalle penne degli italiani, adusi al migliaio di lemmi propinati dalla televisione. Se volete notare la finezza, ne ho usata qualcuna nel periodo qui sopra. Comunque, tra i nuovi “panda” della lingua ci sono parole che sanno di poesia: l’onusto di Saba, il ciarpame di Montale, il garrulo di Pascoli e termini di uso comune come egregio ed esimio. Nelle scuole però scommetterei che solo le mosche bianche conoscono il significato di abominio, zotico, alacre, foriero, laconico, pervicace, visibilio.

Ah, già che ci siamo: un’altra campagna del nuovo Zingarelli è quella a favore del punto e virgola: per favore usiamolo, è anche simpatico, perché negli emoticon strizza l’occhiolino; più che una virgola, meno di un punto, una via di mezzo…




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LA FRASE DEL GIORNO
Il libro per l’isola? Un vocabolario.
GESUALDO BUFALINO, Il malpensante

sabato 17 ottobre 2009

Montale e l’alluvione

EUGENIO MONTALE

XENIA, II, 14

L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
il Valèry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio.
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall’inizio.
Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo.

(da Satura, 1971)

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È l’evento a farsi simbolo in questa poesia di Eugenio Montale: la terribile alluvione che il 4 novembre 1966 colpì Firenze e che commosse il mondo, accorso nel capoluogo toscano per tentare di porre in salvo quante più opere d’arte possibile. Nel mare di fango portato dall’Arno si perdono anche preziosi cimeli della collezione del poeta: libri rari, oggetti di poco conto, ricordi di una vita, gli spartiti del cognato Silvio – va ricordato che gli “Xenia” sono una dedica alla moglie Drusilla Tanzi, scomparsa tre anni prima.

Nella poesia, datata 27 novembre 1966, quell’evento tragico assurge a emblema della vita di Montale: l’onda dell’esistenza che è passata sui suoi giorni ha spazzato via, come quella piena del 1966, tutti i valori e i significati della vita. L’unica certezza, o per lo meno, l’unico barlume nell’oscurità della teologia negativa montaliana, era dato dal “coraggio” della moglie. Sparito anche quello, Montale non diventa nichilista, piuttosto un cinico disincantato…

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Fotografia © Archivio ANSA

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LA FRASE DEL GIORNO
Gli uomini che non hanno più nulla da chiedere alla vita le stanno di sopra ed è allora lei ad esser vile con loro.
JULES BARBEY D’AUREVILLY, Le diaboliche




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.


venerdì 16 ottobre 2009

Li Po

Li Po, noto anche come Li Bai e Li Bo in seguito alla traslitterazione in caratteri occidentali degli ideogrammi cinesi, fu tra i più grandi poeti della dinastia T’ang: visse tra il 701 e il 765, tanto da essere conosciuto come “immortale poeta”. Alla base della sua poesia un distacco dalla mondanità, vissuto attraverso il Tao e il rifugio nella natura, ma anche una smodata passione per il vino, tanto che secondo la leggenda Li Po sarebbe morto affogato dopo che, ubriaco, si era sporto dalla barca per abbracciare il riflesso della luna, cadendo in acqua.


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SEDUTO, DA SOLO, SULLA MONTAGNA JIN TING

Gli uccelli se ne sono andati, volando in stormi
Si allontana, lentamente, una nuvola solitaria
Guardandoci l'uno l'altra ci si stanca
Soli tu e io, montagna Jin Ting.

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DOMANDA E RISPOSTA SULLA MONTAGNA

Mi chiedi perché io viva nelle montagne azzurre.
Sorrido e non rispondo, il cuore tranquillo.
i fiori di pesco se ne vanno lontano, galleggiando leggeri sul torrente.
È un altro mondo, diverso da quello degli uomini.

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BEVENDO DA SOLO SOTTO LA LUNA

Se al cielo non piacesse il vino
in cielo non ci sarebbe la stella del vino.
Se alla terra non piacesse il vino
sulla terra non ci sarebbe la fonte del vino.
E se al cielo e alla terra piace
non c'è nulla di disdicevole ad amarlo.
Si dice che il vino chiaro si può paragonare al santo
e quello scuro al saggio.
Ai santi e ai saggi piace bere.
Perché cercare allora l'immortalità?
Con tre bicchieri si comunica con il Tao,
con un moggio ci si fonde con la natura.
Incontro il piacere solo nel vino
ed è inutile dirlo al sobrio.

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SOTTO LA LUNA, UN FESTINO SOLITARIO

Seduto lì tra i fiori, con la brocca di vino –,
festino solitario, privo di amici intimi –,
elevo il mio boccale e invito il chiar di luna.
Insieme all'ombra, poi, saremo in tre,
giacché la luna non si negherà al bere.
E mentre l'ombra seguirà il mio corpo,
intanto, al fianco suo, io scorterò la luna.
La via della gaiezza termina a primavera;
mentre la luna ondeggia, al mio canto, qua e là.
Ed ha un sussulto l'ombra, fremendo, alla mia danza.
Da sobri, noi viviamo di una gioia comune;
quando poi, nell'ebbrezza, ciascuno si disperde.
Noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti,
infine, in lontananza, saremo alla Via Lattea.

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A YUE ZHONG, GUARDANDO AL PASSATO

Quando Gou Jian, re de Yue, tornò dalla conquista di Wu
i guerrieri rientrarono nelle loro case, vestiti di broccato.
Cortigiane come fiori riempivano i palazzi di primavera.
Ora non resta che il volo delle pernici grigie.

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Fotografie: © Wikipedia

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LA FRASE DEL GIORNO
Un poeta osa essere solo un po’ chiaro e non chiarissimo… Scosta il velo dalla bellezza, ma non lo toglie. Un poeta del tutto chiaro è un’inezia che abbaglia.
E.B. WHITE, One man’s meat, 1942




Li Bai, noto in Occidente anche come Li Po (Suyab, 19 maggio 701 – Contea di Dangtu, 30 novembre 762), poeta cinese, considerato tra i massimi della Dinastia Tang e dell'intera letteratura cinese. È celebre tanto per la carica suggestiva e l'originalità delle sue immagini, da cui fa capolino un'indole contemplativa in cui si possono riconoscere influenze taoiste, quanto per la sua capacità di mantenere i propri versi all'interno delle regole formali della poesia cinese.


giovedì 15 ottobre 2009

Le passanti

Una passante, una donna qualunque e sconosciuta che spicca nella folla anonima per un “quid”, per la sua bellezza, per un gesto d’ammaliatrice, per la semplice andatura resa affascinante dai tacchi alti… I poeti ne sono folgorati: li attira la fugace casualità dell’incontro, la consapevolezza che probabilmente quella donna, passata come un lampo nelle loro vite, non la si rivedrà più…


Pierre Gutierrez, "Passante davanti alla Salute"


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RICCARDO BACCHELLI

UNA DONNA

Il viso d'una donna, i biondi lineamenti,
i suoi occhi liquidi nell'intatta e calma
forma, la bellezza vi si riconosce e la sensualità
ne emana come appetire una pesca. Tra la gente,
al sole, apparsa e sparita se n'è andata.

(da Poemi lirici, 1914)



CHARLES BAUDELAIRE

A UNA PASSANTE

Ero per strada, in mezzo al suo clamore.
Esile e alta, in lutto, maestà di dolore,
una donna è passata. Con un gesto sovrano
l'orlo della sua veste sollevò con la mano.

Era agile e fiera, le sue gambe eran quelle
d'una scultura antica. Ossesso, istupidito,
bevevo nei suoi occhi vividi di tempesta
la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.

Un lampo... e poi il buio! - Bellezza fuggitiva
che con un solo sguardo m'hai chiamato da morte,
non ti vedrò più dunque che al di là della vita,

che altrove, là, lontano - e tardi, e forse mai?
Tu ignori dove vado, io dove sei sparita;
so che t'avrei amata, e so che tu lo sai!

(da I fiori del male, 1857)

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ANTOINE POL

LE PASSANTI

Voglio dedicare questa poesia
a tutte le donne che si amano
per pochi istanti segreti,
a quelle che si conoscono appena,
che un destino diverso trascina via
e che non si ritrovano mai.

A quella che si vede apparire
un secondo alla sua finestra
e che, subito, svanisce
ma la cui svelta figura
è così esile e graziosa
che se ne resta illuminati.

Alla compagna di viaggio
i cui occhi, splendido paesaggio,
fanno sembrare corto il tragitto;
che si è i soli, forse, a capire
e che si lascia tuttavia scendere
senza averle sfiorato la mano.

A quelle che sono già prese
e che, vivendo ore grigie
con un uomo troppo diverso,
vi hanno, inutile follia,
lasciato vedere la malinconia
di un avvenire disperato.
Care immagini scorte,
speranze deluse d'un giorno,
sarete domani dimenticate;
per poco che la felicità sopraggiunga
è raro che ci si ricordi
degli episodi del viaggio.

Ma, se si è fallita la vita,
si sognano con un po' d'invidia
tutte queste felicità intraviste,
i baci che non si è osati prendere,
i cuori che ci devono attendere,
gli occhi che non si sono più rivisti.

Allora, nelle sere di stanchezza,
riempiendo la solitudine
con i fantasmi del ricordo
si rimpiangono le labbra assenti
di tutte queste belle passanti
che non abbiamo saputo trattenere.
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(da Emozioni poetiche, 1918)


UNA NOTA: per chi avesse riconosciuto nella poesia di Antoine Pol una splendida canzone di Fabrizio De André: ebbene sì, è la stessa poesia, tradotta da Faber in modo da adeguarla alla musica.

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LA FRASE DEL GIORNO
Il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando.
MURIEL BARBERY, L’eleganza del riccio




Riccardo Bacchelli (Bologna, 19 aprile 1891 – Monza, 8 ottobre 1985), drammaturgo, giornalista, traduttore e critico teatrale italiano. La sua vasta produzione comprende poesie, romanzi, opere di teatro, saggi storici e critici. Al centro ideale della sua opera risalta l'ampia trilogia romanzesca Il mulino del Po.


Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 - 31 agosto 1867), poeta francese, considerato il padre del Simbolismo. Dopo un viaggio in Oriente, trascorse quasi tutta la vita a Parigi in un alternanza di droghe, alcool, disordini e aspirazioni ideali. La sua poesia verte sull'uomo, le sue cadute e i suoi tentativi di rialzarsi tra spleen e ideale.


Antoine Pol (Douai, 23 agosto 1888 – Seine-Port, 21 giugno 1971), poeta francese. Capitano d'Artiglieria, in seguito lavora nelle miniere di carbone dell'Alsazia. Per tutta la vita coltiva la sua grande passione: la poesia. La sua notorietà, sostanzialmente postuma, è dovuta soprattutto alla poesia Le passanti.



mercoledì 14 ottobre 2009

Edward Hopper a Milano

Il Realismo americano ha come esponente di spicco Edward Hopper: un artista che osserva la società americana del Novecento, in particolare quella che attraversa le due guerre mondiali e si catapulta verso un futuro tecnologico e consumista, e ne ritrae le inquietudini e la solitudine dipingendo le sue stanze vuote e le sue atmosfere rarefatte che faranno dire al critico M. Baigell: “Le sue figure sono imprigionate nel posto che occupano perché diventano parte della composizione generale del quadro e dei diversi movimenti direzionali di forme e colori. Non hanno capacità di movimento indipendente. Inoltre, i colori sono brillanti, ma non trasmettono calore”.

A Edward Hopper è dedicata la prima retrospettiva italiana, aperta a Palazzo Reale di Milano, in Piazza del Duomo: è promossa dal Comune di Milano e dalla Fondazione Roma con il Whitney Museum of American Art di New York – da cui proviene il curatore Carter Foster - e la Fondation Hermitage di Losanna. Inaugurata oggi, rimarrà aperta fino al 31 gennaio 2010. In mostra ci sono 160 opere di Hopper, tra cui celebri capolavori come Summer Interior (1909), Pennsylvania Coal Town (1947), Morning Sun (1952), Second Story Sunlight (1960), A Woman in the Sun (1961) e diversi dipinti mai esposti, come Girlie Show (1941).

Un apparato biografico e storico a lato della mostra ripercorre la storia americana dagli anni ’20 agli anni ’60: la crisi economica del 1929, il sogno dei Kennedy, il boom economico. Inoltre è esposta l’installazione Friday, 29th August 1952, 6 A.M., New York del video-artista austriaco Gustav Deutsch, ricostruzione della scenografia raffigurata in Morning Sun: lo spettatore può in questo modo entrare fisicamente nel dipinto di Hopper!

Una notizia per gli amici romani: dopo Palazzo Reale, la mostra si sposterà nella Capitale, presso il Museo della Fondazione Roma, dal 16 febbraio al 13 giugno 2010. In estate la rassegna sarà invece a Losanna.


EDWARD HOPPER
dal 14 ottobre 2009 al 31 gennaio 2010

Milano, Palazzo Reale
Piazza del Duomo, 12

ORARI

Tutti i giorni: dalle 9.30 alle 19.30
Lunedì: dalle 14.30 alle 19.30
Giovedì: dalle 9.30 alle 22.30
(La biglietteria chiude un'ora prima)
Biglietteria online: www.vivaticket.it

BIGLIETTI

Intero 9,00 euro - Ridotto 7,50 euro – Scuole 4,50 euro

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Edward Hopper, “Summer interior”, 1909, in mostra a Milano

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LA FRASE DEL GIORNO
Se potessi esprimerlo con le parole non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo.
EDWARD HOPPER